Il contratto di convivenza

La legge n. 76/2016, che istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso e reca la disciplina delle convivenze di fatto, rappresenta certamente una tappa fondamentale nel percorso di riconoscimento dei diritti civili in favore di coloro che si trovano in relazioni di vita affettive diverse da quelle riconducibili al tradizionale modello di famiglia basata sul matrimonio.

In questa sede ci occuperemo, specificamente, della disciplina delle convivenze di fatto, fenomeno dai risvolti meno “mediatici” rispetto alle unioni civili ma, forse, numericamente più consistente.

È opportuno iniziare dalla definizione di “conviventi di fatto” contenuta nel testo legislativo, il cui art. 36 afferma: si intendono per conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

Quindi, il contratto di convivenza, destinato – appunto – a dettarne la disciplina, può essere concluso solo tra persone maggiorenni tra le quali vi sia un’effettiva comunanza affettiva che si concretizzi anche nella reciproca assistenza morale e materiale.

È, pertanto, escluso che tale contratto possa essere sottoscritto tra due persone tra le quali non vi sia tale legale affettivo ed assistenziale.

Inoltre, per poter validamente sottoscrivere il contratto di convivenza, tra i soggetti interessati non devono sussistere rapporti di parentela, affinità o adozione né vincoli nascenti da matrimonio o unione civile.

Definito così l’ambito soggettivo di operatività del contratto di convivenza, passiamo ad esaminarne, in maniera necessariamente sintetica, l’aspetto sostanziale, per capire quali diritti e quali doveri sorgono in capo ai contraenti con la sua sottoscrizione.

Si è previsto, al comma n. 39, che in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.

Norma, questa, di fondamentale importanza, in quanto elimina i tradizionali ostacoli all’accesso alle informazioni sanitarie che, in base alla normativa sulla protezione dei dati sensibili, sarebbero opponibili ai soggetti diversi dal coniuge o dagli stretti familiari.

Il successivo comma n. 40, poi, dispone che ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:

  1. a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
  1. b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

Segue il riconoscimento di due altri importanti diritti. Il comma n. 42, infatti, prevede che “in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni”.

La norma tende evidentemente a tutelare il convivente superstite, sia pure per un periodo di tempo definito, dalle possibili pretese restitutorie avanzate nei suoi confronti dai familiari e/o aventi diritto del proprietario venuto a mancare.

Nella stessa ottica si pongono i successivi commi n. 44 e 45, a mente dei quali, rispettivamente, “nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto” e nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.

Seguono altre disposizioni che attribuiscono ai conviventi di fatto diritti e facoltà in determinate ipotesi (lavoro prestato nell’impresa del convivente, possibilità di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, applicabilità degli stessi criteri risarcitori previsti per la morte del coniuge a causa del fatto illecito del terzo).

Con il contratto di convivenza viene introdotta una novità “epocale” nella materia demografica in quanto, per la prima volta, un adempimento avente carattere formalmente e sostanzialmente anagrafico, quale il cambio di domicilio o di residenza che determina la comune residenza dei conviventi di fatto, si accompagna alla facoltà di individuare un regime patrimoniale che afferisce la vita in comune della coppia.

Il comma n. 50 dispone testualmente: i conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Quanto ai requisiti di forma del contratto di convivenza, valevoli anche nel caso di mere modifiche ed in caso di sua risoluzione, è richiesta la forma scritta ad substantiam, ossia a pena di nullità, da soddisfarsi con ricorso ad un atto pubblico o una scrittura privata autenticata da un notaio ovvero da un avvocato, che ne devono attestare la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Ai soli fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’Anagrafe.

Il contenuto del contratto è indicato al comma n. 53, che ammette che lo stesso preveda: a) l’indicazione della residenza; b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno ed alla capacità di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni.

Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può, inoltre, essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza, con l’osservanza degli specifici requisiti formali di cui al comma n. 51.

È importante evidenziare che il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione e, nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.

Il comma n. 55 individua le ipotesi di nullità assoluta, stabilendo che il contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile, che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, se viene concluso:

  1. in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza;
  2. in violazione del comma n. 36 (assenza di rapporti di parentela, affinità o adozione; assenza di un legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale);
  3. da persona minore d’età;
  4. da persona interdetta giudizialmente;
  5. in caso di condanna per il delitto di omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra persona.

Anche le ipotesi di risoluzione del contratto sono state rigidamente individuate dal legislatore.

Il contratto di convivenza si risolve innanzitutto su accordo delle parti o in caso di recesso unilaterale. In questi due casi è prescritta l’osservanza dell’obbligo di forma scritta solenne di cui al comma n. 51. Qualora il regime prescelto dai conviventi fosse quello della comunione dei beni, in caso di risoluzione si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione previste dal codice civile sulla comunione legale, in quanto compatibili. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.

Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma n. 52, a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione. Altre cause di risoluzione espressamente individuate sono il matrimonio o l’unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed un’altra persona e la morte di uno dei contraenti.

In caso di cessazione della convivenza di fatto, viene riconosciuto il diritto agli alimenti per il convivente che versi in stato di bisogno e che non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Gli alimenti sono assegnati, con provvedimento del Tribunale, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza ed avendo riguardo allo stato di bisogno dell’alimentando ed alle condizioni economiche dell’onerato, sia pure in misura non superiore a quanto necessario per l’avente diritto.

                                                                                                             Avv. Paolo Messineo

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