Il pignoramento presso terzi dello stipendio o della pensione

Cos’è il pignoramento presso terzi

Il pignoramento presso terzi è una delle forme che può assumere l’esecuzione forzata nei confronti del debitore inadempiente.

La caratteristica di tale procedimento esecutivo, disciplinato dagli artt. 543 e seguenti c.c., è quella di avere ad oggetto crediti del debitore verso terzi o cose del debitore in possesso di terzi e, quindi, presuppone un rapporto trilaterale in cui un soggetto è debitore nei confronti di chi agisce esecutivamente e, al tempo stesso, creditore nei confronti di un terzo.

L’azione esecutiva viene indirizzata verso il terzo che, pur rimanendo estraneo all’esecuzione, ne è coinvolto poiché è in possesso di cose appartenenti al debitore o perché quest’ultimo vanta un credito nei suoi confronti (per questo motivo il terzo viene anche chiamato “debitor debitoris”).

Per fare un esempio, se Tizio è creditore di Caio e Caio, a sua volta, è creditore di Sempronio perché, quale suo dipendente, ha diritto alla retribuzione mensile, Tizio potrà pignorare nei confronti di Sempronio la retribuzione che questi deve corrispondere a Caio, sino alla soddisfazione del suo credito.

I crediti impignorabili

Non tutti i crediti sono pignorabili ed alcuni lo sono soltanto in una certa misura.

Ai sensi dell’art. 545, comma 1 c.p.c., infatti, “non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto”.

Ricordiamo, in proposito, che per “alimenti” si intendono l’assistenza materiale o le prestazioni economiche cui ha diritto chi si trovi in stato di bisogno, esigibili nei confronti di persone cui sia legato da vincoli di parentela, adozione o affinità.

Ancora, il comma 2 del predetto articolo pone un divieto assoluto di pignorabilità per i crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza.

Il pignoramento dello stipendio

Affrontiamo adesso il tema centrale del presente contributo: il pignoramento dello stipendio e/o della pensione.   

Per quanto riguarda lo stipendio, il codice dispone che “le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato” (art. 545, comma 3 c.p.c.).

“Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in egual misura per ogni altro credito” (art. 545, comma 4 c.p.c.).

Le norme sopra richiamate, quindi, fissano la misura del pignoramento dello stipendio, diversificandola a seconda che il credito abbia natura alimentare (facendola coincidere, in questo caso, in quella autorizzata dal presidente del tribunale) ovvero abbia ad oggetto tributi dovuti allo Stato, alle province o ai comuni: in quest’ultimo caso, infatti, lo stipendio potrà essere pignorato nella misura di un quinto.

Il pignoramento della pensione

Il pignoramento della pensione è disciplinato dal comma 7 dell’art. 545 c.p.c. in questi termini: “le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà”.

Come si vede, la norma pone un limite preciso alla pignorabilità della pensione o delle altre indennità ad essa equiparate, assumendo come riferimento l’importo dell’assegno sociale aumentato della metà.

Tale importo non è sempre fisso, ma viene determinato ogni anno dall’Inps che, per il 2018, lo ha determinato in € 453,00.

Il motivo di tale scelta risiede nell’esigenza di garantire comunque al debitore il c.d. “minimo vitale”, cioè una somma che possa permettere in ogni caso di soddisfare i bisogni primari ed essenziali di ogni individuo.

Alla luce di tale previsione, pertanto, il pignoramento della pensione potrà avvenire solo per la parte che eccede l’importo dell’assegno sociale, aumentato della metà: tale eccedenza potrà essere pignorata nella misura autorizzata dal presidente del tribunale, se trattasi di credito alimentare; nella misura di un quinto, invece, per tutti gli altri crediti.

Il momento dell’accredito sul conto corrente

Nel 2015 il legislatore ha introdotto, nel testo dell’art. 545 c.p.c., il comma 8 che pone una fondamentale distinzione relativa al momento in cui le somme dovute al debitore a titolo di stipendio o pensione vengono accreditate sul suo conto corrente.

La norma distingue, infatti, l’ipotesi in cui l’accredito ha luogo prima del pignoramento da quella in cui, invece, ha luogo alla data di esso o successivamente, ricollegando a ciascuna di esse un diverso limite alla pignorabilità stessa.

Se l’accredito ha luogo prima del pignoramento, le relative somme potranno essere pignorate per un importo eccedente il triplo dell’assegno sociale; se, invece, l’accredito si verifica alla data del pignoramento o successivamente ad esso, si applicheranno i limiti già individuati, ovvero la misura autorizzata dal presidente del tribunale per i crediti alimentari, il limite di un quinto per tutti gli altri crediti.

Pluralità di pignoramenti

È molto frequente l’ipotesi in cui uno stipendio o una pensione siano oggetto di più pignoramenti oppure l’ipotesi in cui ad una cessione volontaria del quinto (conseguente di solito ad un finanziamento) si aggiunga un pignoramento presso terzi.

Cosa succede in questi casi? Fino a che limite è possibile aggredire lo stipendio o la pensione?

La legge prevede che “il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell’ammontare delle somme predette” (art. 545, comma 5 c.p.c.).

Facciamo un esempio: Tizio ha uno stipendio di € 1.000,00, sul quale opera una cessione volontaria del quinto (€ 200,00); successivamente, lo stesso stipendio viene pignorato, con una trattenuta mensile di altri € 200,00. Le trattenute totali ammontano complessivamente ad € 400,00, somma inferiore alla metà (€ 500,00) dello stipendio netto, e sono, pertanto, entrambe legittime.

Avv. Paolo Messineo

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