La busta paga e la prova dell’avvenuto pagamento

Uno dei casi più frequenti che si presentano al legale che tratti la materia del diritto del lavoro è sicuramente quello del lavoratore dipendente che, pur avendo sottoscritto la c.d. “busta paga” con la formula “per ricevuta”, si lamenta del fatto che le somme indicate non sono coincidenti (quasi sempre per eccesso) con quelle effettivamente percepite.

In casi come questo, com’è possibile tutelare il lavoratore? È necessario partire dal dato normativo che si rinviene nell’art. 1 della Legge n. 4/1953, a mente del quale “è fatto obbligo ai datori di lavoro di consegnare, all’atto della corresponsione della retribuzione, ai lavoratori dipendenti, con esclusione dei dirigenti, un prospetto di paga in cui devono essere indicati il nome, cognome e qualifica professionale del lavoratore, il periodo cui la retribuzione si riferisce, gli assegni familiari e tutti gli altri elementi che, comunque, compongono detta retribuzione, nonché’, distintamente, le singole trattenute”.

Prosegue il secondo comma stabilendo che “tale  prospetto  paga  deve  portare  la  firma, sigla o timbro del datore di lavoro o di chi ne fa le veci”.

La domanda che ci si pone è se tale documento, una volta recante la sottoscrizione del lavoratore con la formula “per ricevuta”, faccia prova della veridicità di quanto in esso contenuto o se, al contrario, il lavoratore abbia la possibilità di dimostrare il contrario.

Su questo tema si è pronunciata la Corte di Cassazione che, con la recente Ordinanza n. 21699 del 06/09/2018, ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale costante sul tema, affermando il principio secondo cui la consegna del prospetto paga da parte del datore di lavoro al lavoratore non costituisce prova dell’avvenuto pagamento, prova che, pertanto, resta a carico del datore di lavoro, perché non c’è una presunzione assoluta di corrispondenza tra le somme che risultano indicate nel prospetto paga e quelle effettivamente corrisposte e percepite dal lavoratore.

L’onere della prova spetterà, invece, al lavoratore solo nel caso di provata regolarità della documentazione liberatoria e del rilascio di quietanze da parte del lavoratore stesso.

Quindi, ai fini probatori, non sono sufficienti le annotazioni contenute nel prospetto paga se il lavoratore contesta la corrispondenza delle somme indicate con quelle effettivamente corrisposte, dovendo, in siffatta ipotesi, essere il datore di lavoro a fornire la prova dei pagamenti eseguiti (Cass. n. 1150/1994).

Venendo allo specifico caso della sottoscrizione della busta paga con la formula “per ricevuta”, il Giudice di legittimità ha stabilito che essa prova solo l’avvenuta consegna e non anche l’effettivo pagamento, che resta – come detto – a carico del datore di lavoro (Cass. n. 6267/1998). Infatti, continua la Suprema Corte, soltanto la sottoscrizione apposta dal lavoratore sui documenti fiscali relativi alla sua posizione di lavoratore subordinato (CUD e mod. 101) costituisce quietanza degli importi indicati come effettivamente corrisposti dal datore di lavoro. In questo caso, la sottoscrizione assume il significato di accettazione del contenuto delle dichiarazioni fiscali e di conferma dei dati indicati (Cass. n. 245/2006).

                                                                                                        Avv. Paolo Messineo

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