La responsabilità dell’ente proprietario della strada
Il tema oggetto del presente contributo è, senz’altro, uno dei più dibattuti e controversi e notevole fonte di contenzioso.
Sempre più spesso, infatti, capita di subire un danno (anche di rilevante entità) mentre percorriamo una strada, sia a piedi che con un veicolo, a causa delle cattive condizioni del manto stradale o per la presenza di oggetti o animali sulla sede stradale.
Se, a causa di una buca nell’asfalto, cadiamo riportando una lesione o se, alla guida dell’auto, un animale attraversa improvvisamente la strada rendendo inevitabile l’impatto con il nostro mezzo, chi risponde dei relativi danni? E a che titolo?
L’art. 2051 c.c. nella lettura della giurisprudenza
La norma che viene solitamente richiamata nelle ipotesi sopra descritte è l’art. 2051 c.c. (“Danno cagionato da cose in custodia”), a norma del quale “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.
Precisiamo, intanto, che il termine “custodia” adoperato dalla norma in commento non si riferisce alla custodia nel senso contrattuale del termine, ma ad un effettivo potere fisico, che implica il governo e l’uso della cosa ed a cui sono riconducibili l’esigenza e l’onere della vigilanza affinché dalla cosa stessa non derivi danno ad altri (Cass. n. 1859/2000; Cass. n. 15429/2004; Cass. n. 2422/2004; Cass. n. 4279/2008).
Con tale previsione normativa, pertanto, il legislatore ha voluto configurare una generale responsabilità a carico di chi ha una relazione di effettivo potere sulla cosa (la strada, nel nostro caso), vuoi per esserne proprietario vuoi per esserne il gestore.
Si vuole, infatti, che i terzi non abbiano a subire danni occasionati dalla cosa in proprietà, usufrutto o locazione, e la responsabilità si estende anche se la cosa non sia di per sé suscettibile di produrre danni, ma questi dipendano dall’insorgere nella stessa di un agente dannoso.
L’art. 14 del Codice della Strada pone a carico deli enti proprietari e/o gestori delle strade un generale obbligo di manutenzione, gestione e pulizia delle stesse e delle loro pertinenze ed arredi, obbligo che comporta il dovere di provvedere alla salvaguardia ed al ripristino delle caratteristiche strutturali e funzionali delle strade, alla apposizione e manutenzione della segnaletica orizzontale e verticale, alla garanzia della sicurezza della circolazione di persone e veicoli.
La posizione della giurisprudenza tradizionale
Nonostante il sopra richiamato dovere di custodia, la giurisprudenza tradizionale ha sempre riconosciuto con difficoltà la possibilità di applicare agli enti proprietari e/o gestori delle strade la norma dell’art. 2051 c.c.
Si argomentava, infatti, che, a causa delle dimensioni assai estese e dell’uso generale e diretto da parte degli utenti, il demanio stradale non potesse essere sottoposto a custodia, nel senso voluto dall’art. 2051 c.c.
Ciò comportava che il pedone o l’automobilista danneggiato in seguito ad un sinistro verificatosi a causa di una buca sulla strada avrebbe potuto invocare solo l’art. 2043 c.c. (“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”), coordinandolo, tuttavia, con i concetti di “insidia” o “trabocchetto”.
Tali concetti esprimevano l’idea di un pericolo occulto presente sul manto stradale, soggettivamente non prevedibile ed oggettivamente non visibile, che fosse la spia di un comportamento negligente dell’ente nell’attività di manutenzione della strada.
Cosicché il danneggiato, non solo avrebbe dovuto dimostrare il danno ed il rapporto di causalità con la condotta colposa dell’ente, ma avrebbe dovuto necessariamente fornire la prova dell’insidia, nel senso sopra specificato, con evidente aggravamento dell’onere probatorio a carico del danneggiato.
Una parte minoritaria delle giurisprudenza (Cass. n. 298/2003; Cass. n. 488/2003; Cass. n. 22592/2004), invece, riteneva applicabile l’art. 2051 c.c. alle sole ipotesi di sinistri in cui, per le caratteristiche peculiari della strada (es. l’autostrada) o per l’uso non generalizzato e le dimensioni non eccessive (es. strade comunali), fosse possibile per l’ente proprietario e/o gestore esercitare una vera e propria attività di custodia.
Il primo (parziale) cambio di rotta della giurisprudenza
Il primo significativo cambio di rotta nella posizione della giurisprudenza si è registrato con la pronuncia della Suprema Corte n. 3651/2006 in cui, per la prima volta, la Cassazione ritenne applicabile, sempre e senza distinzione alcuna relativa al tipo di strada, l’art. 2051 c.c. agli enti proprietari e/o gestori delle strade e, contemporaneamente, escluse la necessità di considerare la categoria dell’insidia-trabocchetto quale elemento essenziale ai fini dell’accertamento della responsabilità.
Tuttavia, tale orientamento giurisprudenziale riconduceva la responsabilità ex art. 2051 c.c. in un ambito soggettivo, qualificandolo, cioè, come responsabilità per colpa presunta.
In altre parole, si riteneva che l’ente proprietario e/o gestore, che avesse adottato tutte le misure di prevenzione e di sicurezza imposte dal canone della diligenza, fosse esonerato dalla responsabilità per l’evento dannoso che, nonostante tali misure, si fosse ugualmente verificato.
Tale impostazione aveva come ovvia conseguenza – a livello probatorio – che, mentre il danneggiato doveva semplicemente provare l’esistenza del rapporto custodiale, il verificarsi dell’evento dannoso e il rapporto di causalità tra quest’ultimo e la strada, l’ente proprietario e/o gestore si sarebbe potuto liberare dimostrando il verificarsi del caso fortuito.
Ma il caso fortuito che avrebbe potuto esentare da responsabilità era quello inteso in senso soggettivo: l’ente, cioè, avrebbe dovuto dimostrare non solo l’accadimento di un fatto esterno imprevedibile ed inevitabile (il caso fortuito, appunto), ma anche di aver tenuto, nel caso specifico, un comportamento diligente e rispettoso del dovere di vigilanza.
L’orientamento attualmente maggioritario
Si deve a Cass. n. 15383/2006 la virata decisiva verso quello che, ad oggi, rappresenta l’orientamento prevalente e maggioritario.
Con tale pronunciamento, la Corte ritiene che l’art. 2051 c.c. sia operante ed applicabile per definire il contorno della responsabilità per negligente manutenzione non sempre, ma limitatamente ai casi nei quali sia possibile configurare in capo all’ente proprietario e/o gestore un effettivo potere di custodia e di “governo” sulla strada.
Per potere di governo deve intendersi il potere di controllare la cosa che ne è oggetto (nel nostro caso, la strada), il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno.
Tale potere di governo deve essere valutato in relazione all’estensione delle strade, ma anche in relazione alle loro caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che le connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico di volta in volta appresta e che condizionano anche le aspettative degli utenti.
In particolare – e questo passaggio rappresenta il punto focale della questione – la Cassazione pone una presunzione di esistenza di tale esercizio di custodia rispetto alle strade comunali ed alle autostrade.
Invero, rispetto alle strade comunali, la loro collocazione all’interno del perimetro urbano, dotato di una serie di opere di urbanizzazione e di pubblici servizi, sottoposti all’attività di controllo e di vigilanza costante da parte del Comune, implica la possibilità di un effettivo controllo e vigilanza sulla zona.
Rispetto alle autostrade, poi, la loro destinazione funzionale alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza non può che denotare l’esistenza dell’effettiva possibilità di controllo da parte dell’ente.
Conseguentemente, nell’eventualità di sinistri verificatisi in queste due tipologie di tratti stradali (strade comunali e autostrade) il danneggiato, diversamente da quanto avviene nei restanti casi, non sarà chiamato a dare la prova della relazione custodiale (che si presume a carico dell’ente), mentre sarà il Comune o il gestore autostradale a dover provare l’impossibilità di un potere di controllo o governo sulla strada.
Ricostruita in questi termini, quella prevista dall’art. 2051 c.c. a carico degli enti proprietari e/o gestori non può che configurarsi come vera e propria responsabilità oggettiva, che scatterà quando il danneggiato darà la prova dell’esistenza di un rapporto di causa ad effetto tra l’evento dannoso e la cosa fonte di danno (cioè la strada) e di una relazione custodiale tra quest’ultima e l’ente proprietario e/o gestore.
Proprio in considerazione della natura oggettiva di tale responsabilità, l’ente sarà chiamato a rispondere del danno anche a prescindere da qualsiasi valutazione in merito al comportamento, colposo o diligente, tenuto nel caso concreto.
L’unica possibilità che l’ente ha a disposizione per liberarsi da tale responsabilità è quella di provare il caso fortuito, ovvero provare che, nel caso specifico, sia intervenuto un evento esterno, imprevedibile ed inevitabile, che abbia dato al verificarsi dell’evento dannoso un impulso causale autonomo, spezzando così il nesso di causalità tra il danno e la strada.
Le tipiche ipotesi di caso fortuito sono rappresentate, ad esempio, dalla caduta imprevista di un albero sulla strada, causata da un forte temporale, oppure il fatto del terzo (la perdita d’olio da parte di un altro veicolo che precede) o dello stesso danneggiato (l’omissione da parte sua delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe).
Conclusioni
La giurisprudenza è ormai pacificamente concorde nel ritenere che l’art. 2051 c.c. possa essere applicato agli enti proprietari e/o gestori delle strade e che questi siano chiamati a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva.
Sul danneggiato graverà l’onere di dimostrare soltanto il nesso causale tra il danno e la cattiva manutenzione della strada, mentre l’ente potrà liberarsi soltanto fornendo la prova certa del caso fortuito, inteso in senso oggettivo e, quindi, prescindendo da qualsiasi valutazione sul comportamento piò o meno diligente adottato dall’ente stesso.
Laddove non riuscisse a fornire tale prova liberatoria, l’ente risulterà responsabile ex art. 2051 c.c. e, come tale, obbligato a risarcire il danno subìto dall’utente della strada.
Avv. Paolo Messineo