L’annullamento del negozio giuridico per incapacità naturale
Il presente contributo nasce da un caso concreto che è stato affrontato dallo Studio Legale Messineo e cercherà di illustrare la fattispecie dell’annullamento di un negozio giuridico a causa dell’incapacità naturale di una delle parti al momento della conclusione del predetto negozio.
L’incapacità naturale
L’incapacità naturale si contrappone al concetto di incapacità legale e si riferisce alla situazione in cui un soggetto, pur non essendo assoggettato ad una limitazione giudiziale della capacità di agire, al momento del compimento di un atto sia concretamente incapace di intendere e di volere, per qualsiasi causa, anche transitoria.
Mentre l’incapacità legale (derivante da interdizione o inabilitazione) è una situazione di diritto, l’incapacità naturale costituisce una situazione di fatto. Infatti, l’incapacità legale è accertata in base a criteri sostanziali e/o procedimentali e risulta ufficialmente dai registri dello stato civile, garantendo, così, la sicurezza e la certezza delle contrattazioni.
Nel soggetto interdetto, inabilitato o sottoposto ad amministrazione di sostegno (in quest’ultimo caso, limitatamente agli atti inclusi nel decreto di nomina), l’incapacità si presume iuris et de iure (senza, cioè, la possibilità di prova contraria); ciò determina l’annullabilità degli atti posti in essere senza la sostituzione o l’affiancamento rispettivamente del tutore, del curatore o dell’amministratore di sostegno.
Per contro, l’incapacità naturale è una situazione di fatto per cui, per potersi procedere all’annullamento di un atto, sarà richiesto, di volta in volta, l’accertamento della mancanza della capacità di intendere e di volere del soggetto che pone in essere quell’atto.
Il caso
La Sig.ra X stipulava con il fratello Y un contratto di costituzione di rendita vitalizia, con il quale ella si obbligava a prestare assistenza al fratello vita natural durante, e questi, in cambio, le attribuiva la nuda proprietà dell’immobile in cui viveva. Gli altri fratelli venivano a conoscenza di tale contratto solo successivamente alla morte di Y e, ritenendo di essere stati lesi nei propri diritti successori, agivano in giudizio reclamando l’annullamento del negozio di trasferimento a causa dello stato di incapacità naturale in cui si trovava, a loro giudizio, il fratello Y al momento della conclusione del contratto. Invero, Y soffriva da molti anni di disturbi psichici e, proprio al fine di garantire la corretta amministrazione del suo patrimonio, pochi mesi prima della stipula del negozio di cui ora i coeredi invocavano l’annullamento, era stato nominato un amministratore di sostegno in favore di Y.
Si costituiva in giudizio la sorella X, contestando quanto dedotto dagli altri fratelli, ritenendo che Y, al momento della conclusione del contratto, fosse perfettamente capace di intendere e volere.
È importante richiamare l’attenzione su un aspetto specifico: nella vicenda che si è sopra sintetizzata, la peculiarità (che giustifica la menzione di questo caso) è data dal fatto che il giudizio verteva sulla capacità di intendere e di volere di un soggetto non più in vita, con tutte le ovvie conseguenze in ordine alla difficoltà di prova.
È chiaro, infatti, che nelle ipotesi in cui si controverte circa il possesso o meno della capacità di intendere e volere di un soggetto ancora in vita, sarà inevitabile sottoporlo alla consulenza medico-legale da parte di un perito nominato dal Tribunale, le cui valutazioni rappresenteranno un elemento di valutazione fondamentale per il giudicante.
Con l’altrettanto ovvia conseguenza che l’onere probatorio posto a carico della parte che invoca l’annullamento sarà di gran lunga facilitato ove la perizia confermi la mancanza di capacità.
Nel caso specifico, nonostante – come detto – il soggetto fosse già deceduto, parte attrice è riuscita a fornire la prova circa la mancanza della capacità di intendere e volere al momento della conclusione del contratto.
Infatti, il Tribunale di Termini Imerese, con sentenza n. 1008/2019, ha accolto integralmente la domanda di annullamento avanzata da parte attrice, rappresentata e difesa dallo Studio Legale Messineo, riconoscendo la fondatezza delle argomentazioni in fatto ed in diritto proposte in tal senso.
La normativa applicabile
In punto di diritto la fattispecie applicabile al caso de quo è senz’altro l’art. 428, comma 2, c.c. a mente del quale “L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace di intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente”.
Come confermato da costante giurisprudenza sia di merito che di legittimità, “per l’annullamento dei contratti ai sensi dell’art. 428, comma 2, c.c., a differenza dei negozi unilaterali di cui al comma 1, non è richiesta la dimostrazione di un grave pregiudizio che sia derivato o possa derivare all’incapace, non costituendo questo in sé un elemento costitutivo e concorrente, ma solo uno degli indizi rivelatori del requisito essenziale della mala fede, la quale consiste unicamente nella consapevolezza che un contraente abbia della menomazione dell’altro nella sfera intellettiva o volitiva. In altri termini, quindi, ai fini dell’annullamento del contratto concluso da un soggetto in stato di incapacità naturale, è sufficiente la malafede dell’altro contraente, senza che sia richiesto un grave pregiudizio per l’incapace”[1].
Ed ancora così si esprime la giurisprudenza: “Ai fini dell’annullamento del contratto concluso da un soggetto in stato d’incapacità naturale, è sufficiente la malafede dell’altro contraente, senza che sia richiesto un grave pregiudizio per l’incapace; laddove, in concreto, tale pregiudizio si sia verificato, esso tuttavia ben può costituire un sintomo rivelatore di detta malafede”[2].
Come si evince, pertanto, la malafede dell’altro contraente, ossia la consapevolezza dello stato di incapacità della controparte, rappresenta l’elemento decisivo ai fini dell’annullamento del negozio giuridico. E nella fattispecie oggetto della sentenza, il Tribunale ha riconosciuto nel comportamento della convenuta X indici rivelatori di malafede, nell’accezione sopra indicata.
L’esito della controversia
Come anticipato, il Tribunale, avendo riconosciuto fondate le domande di parte attrice, ha dichiarato l’annullamento del negozio giuridico concluso tra i Sig.ri X e Y e, per l’effetto, ha condannato la convenuta a restituire l’immobile nella disponibilità degli altri coeredi ed al pagamento delle spese processuali in loro favore.
Avv. Paolo Messineo
[1] Cass. Civ., Sez. III, 08/02/2012, n. 1770
[2] Cass. Civ., Sez. II, 09/08/2007, n. 17583; Cass. n. 19659/2004; Cass. n. 7403/2003; Cass. n. 9007/98; Cass. n. 8783/87